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Cos’è l’agricoltura biologica
L’agricoltura biologica è una tipologia di coltivazione agricola basata su metodologie di utilizzo e gestione dell’agro-ecosistema che ricalcano il funzionamento dei processi naturali. Ciò avviene attraverso lo sfruttamento della naturale fertilità del suolo e, pertanto, l’utilizzo di fertilizzanti di sintesi è limitato ai pochi prodotti consentiti dal preciso disciplinare di produzione del biologico; i prodotti fitosanitari (come, ad esempio, diserbanti e antiparassitari) sono invece del tutto banditi dall’agricoltura biologica. Ma non è tutto: secondo la definizione di Wendel Berry, autore del libro “The Gift of Good Land”, un’azienda agricola di tipo biologico
“…non è quella che usa determinati metodi e prodotti, evitandone altri; è piuttosto un’azienda la cui struttura è organizzata attraverso l’imitazione di un ecosistema naturale che ha l’integrità e l’indipendenza di un organismo vero e proprio”.
Il termine “agricoltura biologica”, in sé, può essere fuorviante poiché in realtà anche l’agricoltura intensiva e meccanizzata è basata sui naturali processi biologici. Il corrispettivo inglese del termine, “organic farming”, è concettualmente più corretto poiché si riferisce alla conservazione della sostanza organica del terreno durante i cicli di coltivazione; tuttavia, alcuni propongono l’utilizzo del termine “agricoltura ecologica”, in riferimento alle metodologie di coltivazione rispettose dei processi e degli ecosistemi naturali.
Caratteristiche delle produzioni di agricoltura biologica
Le metodologie di coltivazione dell’agricoltura biologica si basano sui principi fondamentali della rotazione colturale, della fertilizzazione con prodotti naturali (es. letame, compost) e del controllo biologico dei parassiti. Oltre all’esclusione praticamente totale dei prodotti di sintesi, è del tutto vietato il ricorso agli organismi geneticamente modificati.
A causa della riduzione al minimo delle concimazioni e dei trattamenti fitosanitari, la produttività media per ettaro delle coltivazioni biologiche è generalmente inferiore rispetto a quella dell’agricoltura intensiva. Ciò significa che, se da una parte il coltivatore “risparmia” in termini di prodotti agrochimici, dall’altra i costi di produzione vanno a ricadere su minori quantità di prodotto finale. È proprio per questo motivo i prodotti biologici, come tutti sappiamo, sono solitamente più cari rispetto a quelli non-biologici.
Certificazione dell’agricoltura biologica
Il riconoscimento e la regolamentazione delle produzioni biologiche sono affidate all’IFOAM (International Federation of Organic Agriculture Movements), un organismo che dal 1972 coordina a livello internazionale le organizzazioni che si occupano di agricoltura biologica. In Europa, il riconoscimento dal punto di vista legislativo dell’agricoltura biologica è avvenuto nel 1991, ma solo nel 2007 si è arrivato ad un regolamento quadro comunitario (Reg. CE 834/2007). Questo regolamento, oltre alla normare la produzone biologica, si occupa anche dell’etichettatura dei prodotti da essa provenienti.
A livello italiano, l’attestazione di “prodotto biologico” viene affidata ad organismi di certificazione e controllo privati ed indipendenti, autorizzati dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali.
Aspetti nutritivi dei prodotti dell’agricoltura biologica
Uno dei ‘cavalli di battaglia’ della promozione dei prodotti di origine biologica è l’affermazione che, in essi, sono contenuti più principi nutritivi rispetto agli alimenti prodotti secondo i metodi dell’agricoltura intensiva. In sostanza, per via delle metodologie di produzione utilizzate, gli alimenti biologici sono considerati “più nutrienti”. Ma quanto di vero c’è in questa affermazione?
Nel 2009 un articolo pubblicato sull’autorevole rivista American Journal of Clinical Nutrition ha creato un grande scompiglio nel mondo del biologico, mettendo in discussione questo luogo comune. Lo studio in questione ha sistematicamente analizzato i risultati di centinaia di articoli scientifici che trattavano gli aspetti nutritivi dei prodotti dell’agricoltura biologica confrontati con quelli dei prodotti non biologici, arrivando alla conclusione che l’affermazione sopra riportata non è supportata da solide evidenze scientifiche ed è pertanto da considerarsi inesatta. Per 20 delle 23 categorie di nutrienti analizzate (fra cui calcio, potassio e vitamina C) infatti non sono emerse differenze significative, in termini di concentrazioni, legate alle diverse metodologie di produzione.
Le poche differenze statisticamente significative riscontrate sono emerse, ad esempio, a carico del contenuto di azoto, maggiore nei prodotti provenienti dall’agricoltura intensiva; ciò non sorprende tuttavia, dato il massiccio uso di fertilizzanti azotati in questo tipo di coltivazione. Per contro, l’assenza di concimazioni a base di azoto determina talvolta un deficit di contenuto proteico nel frumento proveniente da agricoltura biologica, causando in tal caso problemi in fase di panificazione. Nei prodotti biologici, invece, è il contenuto di flavonoidi e composti fenolici ad essere significativamente più elevato; anche qui, tuttavia, la spiegazione è semplice, ed è dovuta al fatto che le piante, non essendo trattati con antiparassitari, sono ‘costrette’ a produrre in maggiori quantità questi composti, che hanno una naturale funzione protettiva. Essendo inoltre queste molecole in parte responsabili del sapore del prodotto stesso, può effettivamente avvenire che i prodotti biologici risultino al palato “più saporiti” rispetto ai loro corrispettivi non biologici.
Da un punto di vista strettamente nutrizionale, tuttavia, la diversa tipologia di produzione non ha influenze significative sul prodotto finito. Ciò significa che, per il consumatore, l’alimentarsi con cibi biologici non comporta un effettivo vantaggio rispetto al consumo di prodotti da agricoltura intensiva.
Pesticidi in agricoltura biologica
L’utilizzo di prodotti fitosanitari di sintesi (come, ad esempio, insetticidi, fungicidi, diserbanti) nell’agricoltura intensiva è ampiamente diffuso; esso è tuttavia regolato da severe normative di applicazione, e può essere attuato solo in presenza di personale munito di patentino. Il loro utilizzo tuttavia, anche se corretto dal punto di vista dell’applicazione e rispettoso delle normative vigenti, comporta in genere effetti collaterali rilevanti a carico dell’ecosistema. I diserbanti, ad esempio, eliminano sistematicamente la maggior parte delle essenze vegetali ad eccezione della specie coltivata a scopi commerciali, mentre l’utilizzo di insetticidi determina la scomparsa non solo degli insetti dannosi alle colture ma anche di quelli ad esse indifferenti, o addirittura utili. Un caso emblematico è rappresentato dal fenomeno della progressiva scomparsa delle api, denunciato a partire dal 2007 e confermato a livello sia europeo che mondiale; fra le cause di questa moria, una delle più influenti è rappresentata dall’utilizzo eccessivo di insetticidi.
I trattamenti con i prodotti fitosanitari dovrebbero essere effettuati solo in periodi precisi e, inoltre, a distanza di un ben determinato numero di giorni dalla raccolta del prodotto, al fine di garantire la completa degradazione delle sostanze chimiche. Se effettuati correttamente, i trattamenti chimici non dovrebbero lasciare tracce su frutta e verdura, equiparando da questo punto di vista la sicurezza dei prodotti da agricoltura biologica con quelli dell’agricoltura intensiva. Ciò tuttavia avviene solo a livello ipotetico: le ricerche hanno evidenziato una massiccia presenza di residui chimici sui prodotti ortofrutticoli presenti sulle nostre tavole. Ad esempio, un’indagine di Legambiente del 2009 ha messo in luce come su oltre il 27% dei campioni di frutta e verdura analizzati erano presenti uno o più residui di agrofarmaci; di questi, circa l’1% era irregolare (ovvero con residui superiori ai limiti di legge). La frutta risultava essere in particolare la categoria più inquinata, con il 2.3% di prodotti irregolari e addirittura il 44% di prodotti contaminati da agrofarmaci. In sostanza, solo un frutto su due risultava essere privo di residui chimici.
I prodotti dell’agricoltura biologica “certificati” sono, per loro definizione, coltivati senza il ricorso agli agrofarmaci e, in assenza di controlli più severi e diffusi, rappresentano l’unica alternativa che garantisce al consumatore l’assenza di residui chimici.
Agricoltura biologica nell’ottica del mercato globale
Su scala globale, il discorso riguardante la diffusione dell’agricoltura biologica assume una valenza diversa. La popolazione mondiale è in costante crescita e si valuta che nel 2050 raggiungerà la consistenza di oltre nove miliardi di persone. Fra quarant’anni, secondo le stime attuali, la domanda di cibo aumenterà di circa 2-3 volte rispetto alla domanda attuale. Poiché le produzioni biologiche hanno rese su ettaro tendenzialmente inferiori rispetto a quelle dell’agricoltura intensiva, non è pensabile che i prodotti biologici siano in grado, in futuro, di sfamare una tale moltitudine di bocche. Servirebbero, infatti, coltivazioni talmente estese che la superficie utile della Terra dovrebbe essere quasi interamente votata all’agricoltura; per assurdo, praticamente ogni ambiente naturale dovrebbe lasciar posto ai campi coltivati per riuscire a soddisfare la domanda di cibo. Il ricorso all’agricoltura intensiva è, pertanto, indispensabile a livello globale e rappresenta l’unica via perseguibile nel futuro.
Agricoltura biologica, si o no
Data la popolarità riscossa negli ultimi anni fra i consumatori, il mercato del biologico si è ampliato in modo considerevole; solo in Italia sono oltre 2000 le aziende che praticano agricoltura biologica. Nel triennio compreso fra il 2007 e il 2009 si è assistito alla crescita del 32% di queste aziende, e di un aumento pari al 31% dei ristoranti biologici. Il flusso di affari generato è rilevante, ed è necessario fare chiarezza affinchè il consumatore possa decidere in modo autonomo se acquistare questi prodotti o meno, anche in virtù del fatto che il loro costo è generalmente più elevato, e una spesa maggiore deve essere giustificata da argomentazioni convincenti. Soprattutto in tempi di crisi come questi, quando anche pochi euro hanno il loro peso nei bilanci familiari.
I risultati della ricerca sugli aspetti nutrizionali dei cibi biologici non hanno fatto altro che riaprire l’annoso dibattito sulla tematica. In sostanza, la giustificazione dello “spendere di più per avere un prodotto più nutriente” perde la sua validità. Se, tuttavia, i prodotti dell’agricoltura biologica sono superiori in termini di qualità organolettiche ed assenza di residui chimici, la maggior spesa può essere giustificabile. E se, in un’ottica più ampia, andiamo a considerare la tutela degli ecosistemi e della biodiversità, i costi più elevati legati alle produzioni biologiche possono essere considerati “a fin di bene”, giustificabili tanto quanto, ad esempio, l’acquisto di prodotti del mercato equo e solidale. In sostanza: la maggior spesa individuale si traduce in benefici a livello collettivo.
I detrattori di questo tipo di agricoltura affermano che, in sostanza, il biologico rappresenta un vantaggio solo per il produttore, non per il consumatore. Nonostante sia indubbio che i prodotti biologici alimentino un giro d’affari rilevante (solo in Italia, secondo l’Eurispes, i ricavi sono di almeno due milioni di euro all’anno), ciò non corrisponde del tutto a verità. A livello locale gli acquisti biologici rappresentano un modo unico di coniugare qualità dell’alimentazione e rispetto dell’ambiente naturale, e la preferenza nei confronti di questo tipo di prodotto rappresenta una scelta di qualità e di responsabilità ambientale.
Agricoltura biologica in Italia
In base ai dati FIBL-IFOAM 2012, il nostro paese vanta il settimo posto nella classifica mondiale dei maggiori produttori bio. Con un’estensione dedicata al metodo biologico di oltre un milione e centomila ettari, pari all’8.7% della superficie agricola utilizzata (SAU), l’Italia è nella top ten internazionale il paese che vanta la percentuale più alta.
Secondo il Bioreport 2012 sull’agricoltura biologica in Italia, redatto dalla Rete Rurale Nazionale 2007-2013, considerando tutte le realtà del settore (produttori, preparatori, importatori esclusivi o produttori/preparatori) nel 2011 il totale degli operatori ha superato quota 48 mila. Nel biennio 2010-2011, inoltre, gli ettari di superficie coltivata in modo biologico sono passati da poco meno di 822mila a 1.096.889.
Tale aumento è stato determinato dalla volontà dei consumatori di alimentarsi in modo più sano – i prodotti biologici, infatti, sono privi di residui di pesticidi o conservanti – e dalla crescente attenzione alle esigenze di tutela dell’ambiente, ma anche dalle importanti sovvenzioni economiche legate a queste buone pratiche agricole.
Quali colture bio vengono coltivate in Italia
Quali sono le colture maggiormente interessate dall’impiego del metodo biologico? A rivelarcelo è ancora il Bioreport 2012, in base al quale sono le superfici coltivate a foraggere ad essere le più importanti dal punto di vista quantitativo (250mila), seguite dalle aree adibite alla cerealicoltura (184mila), al pascolo (182mila) e all’olivicoltura (141mila); tra le colture meno consistenti nell’ambito dell’agricoltura biologica in Italia troviamo invece le piante da radice (1800 ettari).
Per quanto riguarda infine i numeri di produttori bio in Italia, gli ultimi dati FIBL-IFOAM 2012 parlano di quasi 42mila aziende (ottavo posto mondiale). Sono soprattutto regioni come Sicilia, Calabria e Puglia a vantare il maggior numero di produttori biologici, mentre per quanto riguarda le industrie di trasformazione il primato spetta ad Emilia-Romagna, Veneto e Lombardia.
Siti per approfondire l’agricoltura biologica
- AIAB: http://www.aiab.it/
- Ifoam: http://www.ifoam.org/
- Comunità Europea: http://ec.europa.eu/agriculture/organic/home_it/